Il calendario ebraico, che deriva da quello babilonese, è decisamente complesso e diverso da tutti gli altri. Viene definito lunisolare perché basato sia sul ciclo del sole che su quello della luna. L’anno non ha sempre la stessa durata (365 giorni) ma è composto da 12 o 13 mesi, di 29 o 30 giorni ciascuno.
Per esempio, l’anno ebraico 5780 va dal 29 settembre 2019 al 17 settembre 2020.
I mesi sono Tishri, Cheshvan, Kislev, Tevet, Shevat, Adar, Adar Sheni, Nisan,Iyar, Sivan, Tammuz, Av e Elul.
Festività religiose
Sono diverse le festività nella religione ebraica. Alcune sono legate ad avvenimenti storici.
Il rispetto dello shabbat e delle altre festività, quasi tutte di origine biblica, è un dovere nella vita di ogni ebreo osservante, e anche nella Comunità di Roma, tra le più antiche della diaspora, feste e ricorrenze occupano un posto importante, sia che si tratti di celebrare un evento gioioso sia di commemorare episodi tragici vicini e lontani (in alcuni casi anche con un periodo di digiuno) o eventi legati al ciclo della natura e al ritmo delle stagioni. Perché sono sempre l’occasione per riaffermare i valori fondamentali dell’ebraismo, attraverso preghiere, letture di testi sacri e rituali religiosi, ma anche rafforzare i legami familiari e comunitari. A Roma, tra le ricorrenze più dolorose e più sentite c’è quella del 16 ottobre 1943 in ricordo del rastrellamento e della deportazione di oltre mille ebrei romani da parte delle truppe di occupazione.
Le festività ebraiche non cadono sempre nello stesso giorno dell’anno (un po’ come succede nel caso della Pasqua cristiana), proprio per la particolarità del calendario lunisolare e non coincidono con quelle delle altre religioni. Il fatto particolare è che cominciano tutte la sera del giorno precedente al tramonto e terminano la sera del giorno festivo, dopo il tramonto.
Le principali feste ebraiche sono Shabbat, Rosh haShanah (capodanno ebraico), Yom Kippur (giorno dell’espiazione)
Shabbat, giornata di riposo assoluto in memoria del settimo giorno della creazione, è la festa più importante del calendario. Il rispetto delle regole è un dovere per ogni ebreo osservante.
Lo Shabbat inizia il venerdì sera al tramonto e termina l’indomani un’ora dopo il tramonto. Durante lo shabbat è vietato lavorare, cucinare, viaggiare, fare transazioni di denaro e quant’altro per dedicarsi al riposo. Le attività permesse sono invece le visite ai parenti, recarsi in sinagoga per assistere alle funzioni religiose, leggere o studiare, discutere su argomenti relativi alla Torah. Il venerdì sera e il sabato le famiglie si riuniscono e all’inizio dei pasti si recita il Kiddush, la benedizione del vino e del pane speciale del sabato, detto Challah.
Rosh haShanah cade l’1 e il 2 del mese di Tishri.
È una ricorrenza solenne che celebra la creazione del mondo e, allo stesso tempo, è un momento di riflessione e rinnovamento spirituale. Si festeggia con cene rituali portando in tavola le primizie sulle quali si recitano le apposite preghiere. E’ dovere di ognuno recarsi in Sinagoga per ascoltare il suono dello shofar (il corno di montone) che ricorda l’animale sacrificato al posto di Isacco, nell’episodio biblico della Genesi che esalta la fede di Abramo e la condanna dei sacrifici umani.
Yom Kippur ricorre 10 giorni dopo il Capodanno.
È il giorno più importante del calendario ebraico da trascorrere senza fare alcuna attività tra digiuno assoluto (senza mangiare, ne bere) penitenza e preghiera, riflettendo sulle proprie azioni e peccati.
Proprio nel giorno di Kippur del 1973, il 6 ottobre, Egitto e Siria attaccarono Israele a sorpresa.
Quarta guerra arabo-israeliana. Il conflitto, che durò fino al 25 ottobre, ebbe inizio con l’attacco improvviso degli eserciti dell’Egitto e della Siria che colse inaspettata la dirigenza politico-militare israeliana e mise in forte difficoltà le forze armate di Israele. Le truppe egiziane, ben equipaggiate con missili anticarro e anti-aerei sovietici, attraversarono con successo il canale di Suez e respinsero con forti perdite i primi, affrettati contrattacchi israeliani, mentre contemporaneamente le forze siriane penetravano con forze corazzate nel Golan. Dopo alcune fasi drammatiche che fecero temere un conflitto globale, la guerra terminò senza esiti risolutivi dal punto di vista militare, ma segnò un importante successo politico e propagandistico per gli Arabi che si dimostrarono in grado di mettere in difficoltà Israele. Nello stato sionista l’andamento della guerra e soprattutto la sorpresa iniziale innescarono forti polemiche politiche che culminarono con le dimissioni del primo ministro Golda Meir, del Ministro della Difesa Moshe Dayan e del capo di stato maggiore David Elazar.
Un’altra festa importante è Sukkot, anche detta festa delle capanne, festa autunnale di raccolto che ricorda i quarant’anni trascorsi nel deserto dopo l’esodo dall’Egitto. Questa ricorrenza dura 7 giorni e cade tra settembre ed ottobre. E’ consuetudine per gli ebrei osservanti allestire nella terrazza della propria abitazione una capanna fatta di rami e foglie per non impedire la vista del cielo: all’interno è necessario consumare almeno un pasto secondo il rituale. Il senso generale di vivere qualche giorno in una capanna, è quello di provare a rinunciare alle proprie comodità e certezze affidandosi alla sicurezza divina.
La festa successiva in ordine di tempo è Chanukka, la festa delle luci. Cade tra dicembre e gennaio e dura otto giorni. Ricorda le vittime dei Maccabei per la riconquista del tempio di Gerusalemme, profanato dai Greci (165 a.C.) e il miracolo dell’olio utilizzato per riconsacrare il Tempio. Secondo un midrash (interpretazione omiletica del testo biblico), una piccola ampolla ritrovata nell’edificio sacro, normalmente sufficiente per far luce un solo giorno, durò otto giorni, tempo necessario a procurarne altro. In ricordo di quell’evento, nelle case ebraiche (vicino a porte e finestre perché siano visibili da fuori) si accendono dei candelabri chiamati Channukkia a nove braccia (otto beccucci più uno – lo shammash – che serve per l’accensione di ogni sera). Da non confondere con la Menorah che ha sette braccia.
Da qualche anno la ricorrenza si festeggia anche in molti luoghi pubblici di Roma (come del resto nelle piazze delle principali città del mondo), davanti al Tempio Maggiore a Lungotevere Cenci, nella famosa piazza Barberini cui partecipa il Comune di Roma, in Piazza Bologna. La manifestazione è aperta a tutti e viene seguita da molti cittadini e turisti.
Purim (Sorti). Festa gioiosa in ricordo dello scampato pericolo del popolo ebraico che rischiò di essere sterminato dal re Assuero ai tempi dell’antica Persia, nel V secolo prima dell’era volgare. Conosciuta anche come “carnevale ebraico”, è una ricorrenza allegra durante la quale, per grandi e piccoli, è usanza anche mascherarsi. La cattiva sorte degli ebrei fu cambiata in buona sorte grazie all’opera della regina Ester. Cade tra febbraio e marzo e le celebrazioni iniziano con un digiuno il giorno prima della festa, durante la quale si scambiano dei doni, e soprattutto si fanno regali ai bambini e si leggono dei testi sacri. Si continua poi con un festoso banchetto.
Trenta giorni dopo ricorre Pesach, la Pasqua ebraica. Una delle tre grandi ricorrenze gioiose della tradizione ebraica. Ricorda e commemora la fuga degli Ebrei dall’Egitto e la fine della schiavitù. Dura otto giorni nel corso dei quali è vietato mangiare cibi lievitati. Si consumano le matzot, pane azzimo non salato, si mangia il maror, verdura dolce e amara, per sottolineare il contrasto tra la durezza della schiavitù e la bellezza della libertà. La Haggadah (il racconto) che narra l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto viene letta nella prime due sere, solo la prima sera di Pesach per chi vive stabile in Terra d’Israele, nel corso del Seder.
Ancora una ricorrenza importante, Shavuot, che rievoca il dono della legge e “del raccolto”, cade sette settimane dopo Pesah. Ricorda la consegna delle Tavole della Legge a Mosè sul monte Sinai.
È usanza portare in tavola primizie, addobbare case e sinagoghe con addobbi floreali. Dopo la cena si studiano passi della Torah.
Ultima ricorrenza è quella di Tisha Be-Av – digiuno del 9 del mese di Av. E’ un giorno di lutto e digiuno in quanto ricorda la distruzione del primo e secondo tempio di Gerusalemme, rispettivamente da parte dei Babilonesi (nel 586 a.C.) e dei Romani (nel 70 a.C.). Marca l’inizio della diaspora ed è considerata simbolo di disgrazia per il popolo ebraico. In questa data sono avvenuti purtroppo altri momenti tragici: proprio il nove di Av gli ebrei furono cacciati dalla Spagna nel 1492. Nelle Sinagoghe parate a lutto, spesso seduti in terra e a lume di candela, si recitano preghiere ed elegie.
Le tappe della vita ebraica
L’ebraismo è un sistema di vita in cui tutti i momenti vengono vissuti anche su un piano religioso. E’ utile sapere che la vita ebraica è scandita e sacralizzata da una successione di riti legati alle tappe fondamentali dell’esistenza di ciascuno. Le fasi attraverso le quali il singolo diventa parte del popolo e si mette in sincronia con esso sono: la circoncisione all’inizio della vita, la maggiorità religiosa nel passaggio dalla pubertà all’adolescenza, il matrimonio e la creazione di una nuova famiglia nell’età adulta ed infine la morte.
La circoncisione (in ebraico brit milà) è il patto che lega il popolo di Israele in ogni suo componente maschio con Dio.
Nella Bibbia al capitolo 17 della Genesi è scritto: “E parlò il Signore a Abramo: tu osserverai il mio patto; tu e la tua discendenza dopo di te per le generazioni future. Questo è il mio patto che osserverete tra me, voi e la tua discendenza dopo di te. Circonciderete tutti i vostri maschi. Circonciderete la carne del vostro prepuzio; questo sarà il segno del patto tra me e voi. All’età di otto giorni per le vostre generazioni, verranno circoncisi tutti i maschi”
La circoncisione oltre al significato più immediato di patto tra Dio e il popolo di Israele fino dai temi di Abramo, ne ha un altro meno manifesto e conosciuto: il numero otto infatti secondo il “midrash” ha un significato simbolico che implica ciò che va oltre il naturale. E’ come se l’uomo attraverso la circoncisione si assumesse la responsabilità di perfezionare la natura stessa e l’opera del creatore. Quindi la circoncisione deve essere effettuata all’età di otto giorni e non può essere rinviata se non per immediati problemi di salute del neonato. La sera prima della circoncisione si usa riunirsi per una serata di studio in segno di augurio per il neonato.
L’obbligo della circoncisione ricade sul padre che generalmente delega questo compito a un circoncisore, in ebraico mohèl. Alla cerimonia, nel corso della quale viene anche annunciato il nome del bambino, sono presenti anche parenti ed amici.
Quando nasce una femmina si fa una festa nel corso della quale le viene imposto il nome. Tale cerimonia prende il nome di Zeved Ha-bat, cioè il dono della figlia. In passato dopo ottanta giorni dalla nascita di una femmina la madre si recava al Santuario per offrire il sacrificio, come prescritto dalla Torà, e per presentare alla Comunità la nuova nata. La cerimonia consta di tre momenti: la lettura di brani biblici, la benedizione augurale alla neonata, la benedizione sacerdotale. Nell’antica Giudea quando un neonato veniva alla luce, un albero era piantato per solennizzare la nascita. In seguito quando il ragazzo o la ragazza erano alla vigilia del matrimonio, il “loro” albero era tagliato per ricavarne i pali che sarebbero poi serviti per il baldacchino nuziale.
Un altro momento importante sempre nella prima infanzia è quello del riscatto del primogenito che avviene a trenta giorni dalla nascita. La nascita del primo figlio è senza dubbio un momento esaltante per la coppia ed è quindi necessario sottolineare, proprio in questo momento in cui l’uomo può essere portato a sentirsi onnipotente. L’atto del riscatto consiste nel consegnare a un discendente della famiglia di Aronne (cioè un Cohen) alcune monete d’argento.
Le tappe della vita ebraica
Lo studio ha sempre avuto nell’ebraismo un significato particolare, anche perché è attraverso lo studio che si trasmettono le tradizioni e si perpetua la Torah. I genitori hanno il compito di educare i propri figli e di trasmettere loro il patrimonio culturale fino a che il ragazzo non divenga responsabile del proprio comportamento morale e religioso. Questo avviene quando compie tredici anni e diventa Bar Mizwà, cioè impegnato a tutti gli effetti all’osservanza delle norme ed entra a far parte del numero degli adulti che formano la Comunità. Questa tappa segna il passaggio a una vita religiosa responsabile, e da questo momento cessa per il padre l’obbligo di sorvegliare i doveri religiosi del figlio. Da questo momento egli diventa un elemento valido per far parte di un minian (quorum di dieci maschi adulti per la preghiera). Dopo il suo tredicesimo compleanno, alla prima occasione in cui viene letta la Torah, il ragazzo viene chiamato a “salire” alla Torah. Tale occasione viene sottolineata da una festa in suo onore che la famiglia offre ai parenti e agli amici.
Per le ragazze l’onore e l’obbligo di osservare le tradizioni inizia a dodici anni e non a tredici. Secondo l’halakhà (la legge ebraica), una ragazza raggiunge la sua maturità “legale” a dodici anni e un giorno. In molte comunità un uso piuttosto recente vede le ragazze celebrare in questo giorno la loro entrata nel mondo dei precetti con una cerimonia detta Bat Mizwà. Durante la cerimonia le ragazze debbono recitare alcuni passi biblici. Così come succede per i ragazzi, è uso in questo giorno festeggiare.
Il matrimonio è da una parte un accordo privato tra marito e moglie codificato da un contratto nuziale, e dall’altro un impegno che la coppia assume nei confronti della Comunità, in ottemperanza a quanto scritto nella Genesi e cioè: “Crescete, moltiplicatevi e popolate la terra”. Per l’ebraismo la vita solitaria è una sventura, il matrimonio senza figli un disastro e una buona moglie il maggior bene che si possa augurare ad un uomo. Sulla donna ricade l’obbligo di immergersi nel “mikwe” (il bagno rituale) alla fine dell’impurità mestruale.
La cerimonia del matrimonio ebraico si svolge preferibilmente all’aperto sotto un baldacchino nuziale i cui quattro angoli simboleggiano la casa che la coppia costruirà a partire da quel giorno.
Il momento più commovente della cerimonia nuziale è rappresentato dalla benedizione dei rabbini agli sposi, ai quali si aggiungono i genitori ed i parenti stretti che pongono le loro mani sui capi degli sposi.
Presso le famiglie ebraiche l’anziano gode di grande rispetto. I figli hanno il dovere di far mantenere uno stato di dignità ai propri genitori e la morte di uno di loro è considerato il lutto più grave. Il concetto ebraico del rispetto dei morti esige che vengano sepolti al più presto e nel modo più austero possibile. Dopo aver sepolto il parente, viene effettuata una lacerazione su un indumento dei congiunti più stretti (figli, coniuge, genitori, fratelli) e da quel momento essi debbono attenersi alle regole di lutto strettissimo per una settimana. Tale periodo è detto “shivà”. Durante la shivà i congiunti rimangono in casa, seduti su bassi sgabelli o in terra e ricevono i visitatori che vengono a porgere le condoglianze. Alla shivà seguono gli “sheloshim”, un periodo di trenta giorni in cui pur riprendendo le occupazioni normali si osservano alcuni particolari riti e preghiere e ci si astiene da qualsiasi divertimento. Le regole per il lutto divengono con il passare del tempo meno rigide e l’ebraismo prescrive che, per quanto il dolore per la perdita di una persona cara sia indelebile, chi ha subito un lutto deve tornare a una vita normale. Infatti nel Deuteronomio è scritto “ed ho posto di fronte a te il bene ed il male, la morte e la vita, e tu sceglierai la vita”.