Non si può parlare della Comunità ebraica di Roma senza menzionare il grande Rabbino Capo Elio Toaff. (30 aprile 1915, Livorno – 19 aprile 2015, Roma). Egli è considerato la massima autorità spirituale e morale ebraica in Italia dal secondo dopoguerra sino a primi anni duemila.
Dopo l’8 settembre 1943, con la recrudescenza della violenza nazista e le prime deportazioni italiane per i lager, Toaff, sua moglie Lia Luperini e il loro figlio Ariel fuggirono in Versilia scampando all’assassinio in casa grazie all’aiuto del parroco della vicina chiesa, questi lo salvò avvertendolo dell’agguato e facendolo poi fuggire con l’aiuto di famiglie cattoliche e alterando le generalità sui loro documenti, girovagando tra mille insidie. Più volte Toaff scampò alla morte per mano nazista (in un’occasione sfuggì ai nazisti rifugiandosi a Città di Castello, di cui fu cittadino onorario dal 1999). Entrò nella Resistenza combattendo sui monti e vedendo con i propri occhi le atrocità ai danni di civili inermi.
Dopo la guerra fu rabbino di Venezia, dal 1946 al 1951, insegnando anche lingua e lettere ebraiche presso l’Università Ca’ Foscari. Nel 1951 divenne rabbino capo di Roma. Oltre al suo ruolo spirituale, ricoprì diverse cariche nella comunità ebraica italiana: presidente della Consulta rabbinica italiana per molti anni, direttore del Collegio rabbinico italiano e dell’Istituto superiore di studi ebraici, direttore dell’Annuario di Studi Ebraici. Inoltre fu membro dell’Esecutivo della Conferenza dei rabbini europei fin dalla fondazione nel 1957 e da 1988 entrò a far parte del Praesidium. Nel 1987 Toaff pubblicò una sua autobiografia: Perfidi giudei, fratelli maggiori (Mondadori, Milano).
Il 13 aprile 1986 per la prima volta nella storia, Papa Giovanni Paolo II va in visita alla Sinagoga di Roma. Fu una visita memorabile.
Accolto con gioia e a braccia aperte dal rabbino capo Elio Toaff, per molti ebrei Wojtyla è il Pontefice che più ha fatto per avviare un proficuo dialogo ebraico-cristiano, ma la Chiesa fu vicina al popolo ebraico da molto prima.
In quella occasione Papa Giovanni Paolo pronunciò la famosa frase: “gli ebrei sono i nostri fratelli maggiori. Possano queste piaghe essere sanate per sempre!” Torna alla mente l’accorata preghiera al Muro del Tempio di Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II Il 26 marzo 2000, che risuona vera e sincera nel profondo del nostro cuore: “Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza”.
Il 17 gennaio 2010 anche Papa Benedetto XVI varca la soglia della Sinagoga.
Questa data meriterebbe un posto particolare nella storia di questa città. Al di là dell’impatto politico e delle interpretazioni storiche, rimane ferma e solida la sostanza emotiva dell’evento: Papa Ratzinger ebbe il coraggio di mettere il Suo Sacro Sigillo sulla ferita più dolorosa della città di Roma, assumendosi in proprio la responsabilità di avviare, da quel momento, storicamente, un processo di cicatrizzazione per gli ebrei romani. Per quanto il culto della memoria ci spingerà sempre a ricordare ciò che allora avvenne, e a non dimenticare mai la piaga che rimarrà sempre aperta, la Città di Roma può “ufficialmente” considerare chiusa la tragica pagina aperta il 16 ottobre del 1943. In quanto città.
Sei anni dopo, esattamente il 17 gennaio 2016, fu la volta di Papa Francesco a visitare la Sinagoga di Roma. La visita si apri con il ricordo di due ferite inferte nel secolo scorso agli ebrei romani. Il rastrellamento del ghetto del 16 ottobre 1943 e l’attentato di matrice palestinese alla Sinagoga il 9 ottobre del 1982, in cui perse la vita il piccolo Stefano Gaj Tachè.
Bergoglio: “Bandire gli atteggiamenti antisemiti”. Papa Francesco più volte ha esortato a bandire atteggiamenti antisemiti: “Che sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna. È una contraddizione che un cristiano sia antisemita. Le sue radici sono ebree: un cristiano non può essere antisemita. Coltivare sentimenti antisemiti è una grave offesa a Dio”.
Non bisogna dimenticare il ruolo di numerosi cattolici, che durante le persecuzioni, aiutarono molti ebrei a scampare al pericolo di essere deportati, nascondendoli nelle chiese e nelle loro abitazioni, rischiando fortemente di essere scoperti e subire la stessa sorte dei rifugiati
E’ importante che ogni persona, adulto o bambino che sia, si abitui a ragionare con la propria testa, riscopra il piacere del confronto con l’altro, senza farsi trascinare da pregiudizi inutili e dal rifiuto del diverso.