Nel 1555 sorge il ghetto ebraico di Roma, tra i più antichi al mondo, quaranta anni dopo quello di Venezia. Su ordine di Papa Paolo IV, revocando tutti i diritti concessi agli ebrei romani, viene dotato originariamente di soli due accessi per entrare ed uscire, che venivano chiusi al tramonto e riaperti all’alba. In un secondo tempo, dato l’aumento della popolazione che vi risiedeva, gli accessi divennero progressivamente otto. Non esiste, in tutta la Penisola, una identità etnico-psicologica così forte come quella degli ebrei romani. Nessun ebreo italiano è tanto ebreo quanto lo sono gli ebrei romani. E nessun romano è così tanto romano quanto lo sono gli ebrei appartenenti alla Comunità Israelita della Città di Roma. Se non altro, per il solo fatto che, in questa città, ci abbiano messo radici da 1940 anni: dal 70 d.C., quando l’imperatore Tito deportò gli ebrei che vennero trasferiti a Roma in stato legale di schiavitù
Da allora gli ebrei romani, attraverso i secoli e i millenni, hanno vissuto nella zona attorno al Portico d’Ottavia, trasmettendo di figlio in figlio i valori tradizionali della propria etnia culturale, identificandosi sempre di più con la tradizione autoctona, figlia delle vestigia dell’Impero Romano. Vicoli e strade carichi di storia che ancora oggi sono capaci di trasmettere il fascino della cultura ebraica, con le sue tradizioni secolari
La parola ghetto potrebbe derivare sia dal nome della contrada veneziana chiamata gheto, che si trovava nei pressi di una fonderia (da getto, cioè scarto della produzione di metalli) ove gli ebrei furono costretti a risiedere, sia dall’ebraico ghet, che significa separazione. Inizialmente veniva chiamato “serraglio degli ebrei”. Il video che segue https://www.youtube.com/watch?v=LalGafHq508 ci offre una breve panoramica del Ghetto di Venezia.
La chiusura dell’intera comunità entro un’area molto ristretta e l’imposizione di severe leggi discriminatorie non fu l’unica misura repressiva attuata da Paolo IV. Egli fu ricordato quando nel 1559 istituì “L’Indice dei Libri Proibiti”, che comprendeva testi scritti da autori non cattolici ed abbracciava vari argomenti, religione, astrologia, predizioni.
Rispetto alle altre città italiane quali Venezia, Torino e Livorno, Roma rappresenta il luogo dove gli ebrei sono stati messi più sotto controllo da parte dello Stato Pontificio per spingerli alla conversione. Ma il tentativo del Papato non riuscì.
Circa vent’anni dopo, nel 1577, viene imposto agli ebrei il culto cattolico attraverso una conversione coatta. Papa Gregorio XIII crea le “prediche coatte”, alle quali gli ebrei romani sono costretti ad assistere ogni sabato. Sono anni di miseria assoluta, soprattutto nella zona bassa e vicino al fiume, dove abitano i più poveri. Ciò nonostante, la comunità ebraica si organizza internamente con strutture di natura sanitaria. Gli ebrei sefarditi, cacciati dalla Spagna nel 1492 e insediatisi in vari paesi del Lazio, della Toscana e della Campania, vengono rinchiusi nel Ghetto di Roma.
Per fortuna, Il 6 ottobre 1586, con il motu proprio Christiana pietas, papa Sisto V revocò alcune restrizioni e consentì un piccolo ampliamento del quartiere, che raggiunse un’estensione di tre ettari.
Le vicende della Rivoluzione francese e delle conquiste napoleoniche, sia pure con anni di ritardo e per un periodo limitato, modificarono le condizioni di vita degli ebrei romani, come si evince dal seguente testo tratto da un volume pubblicato nel 1961 dall’Histadruth Hamorìm (Associazione Insegnanti Ebrei d’Italia – Milano) http://www.morasha.it/ebrei_italia/ebrei_italia07.html.
Il 10 febbraio 1798 le truppe francesi, comandate dal generale Berthier, entrarono in città. Il 15 febbraio venne proclamata la Prima Repubblica Romana, il 17 dello stesso mese all’interno del ghetto, in piazza delle Cinque Scole, fu eretto un “albero della libertà”. Il 20 febbraio Papa Pio VI fu costretto a lasciare Roma ed il giorno dopo, a Monte Cavallo, il comandante francese proclamò la parità di diritti degli ebrei e la loro piena cittadinanza.
Purtroppo tale condizione ebbe breve durata perché nel 1814 con il definitivo ritorno del nuovo pontefice Pio VII, gli ebrei furono nuovamente rinchiusi nel ghetto. Vigeva di nuovo la giurisdizione del Tribunale dell’Inquisizione. Su circa 3500 abitanti quasi la metà versava in condizioni di indigenza. Tuttavia durante l’800 le condizioni iniziarono a migliorare, venne concesso all’interno del Ghetto un edificio utilizzato come scuola per tessitori, calzolai, falegnami, mobilieri.
Nel 1825, durante il pontificato di papa Leone XII, il ghetto, la cui popolazione era considerevolmente aumentata, venne ulteriormente ingrandito.
Si dovette aspettare il 1846, con l’elezione di Pio IX, per veder accendersi un barlume di speranza nella comunità. Il Papa nominò una commissione che esaminò i reclami degli ebrei e permise agli abitanti del Ghetto di vivere anche in altri quartieri della città. Il capopopolo, Ciceruacchio, riuscì persino a organizzare una festa di fratellanza tra gli ebrei del Ghetto e i romani. Nonostante le condizioni di vita all’interno del quartiere fossero ancora infelici, il 17 aprile 1848 Pio IX ordinò di smantellare le mura e le porte del Ghetto e agli ebrei venne concesso di poter aprire esercizi commerciali, andare in giro liberamente la notte, entrare anche nella guardia civica
Con la proclamazione della Repubblica Romana, nel 1849, la segregazione fu abolita e gli ebrei emancipati. Caduta la Repubblica, lo stesso pontefice obbligò gli ebrei a rientrare nel quartiere, sia pure ormai privo di porte e recinzione.
Il 20 settembre 1870 toccò ad un ufficiale ebreo piemontese l’onore di comandare la batteria dei cannoni che aprì una breccia nelle mura di Roma a Porta Pia. Con l’annessione della città al Regno d’Italia terminò il potere temporale dei papi, il ghetto fu allora definitivamente abolito e gli ebrei equiparati agli altri cittadini italiani.
Non solo si poneva fine al secolare dominio del pontefice, ma si concludeva la vicenda antica di più di trecento anni del claustrum Judeorum, il ghetto degli ebrei. Possiamo immaginarceli, questi ebrei romani, che già avevano assaggiato il sapore della vita libera e uguale nel corso delle brevi stagioni del dominio francese e della Repubblica Romana, uscire fuori da un quartiere non più obbligatorio, forse ancora un po’ increduli e diffidenti. Le lacrime di dolore divennero finalmente lacrime di gioia.
La nuova Italia unita aveva un’impronta laica e liberale nella quale molti ebrei non esitarono ad identificarsi totalmente.
Si trovarono ebrei fra i professori universitari, i magistrati, gli ufficiali, le alte cariche dello Stato. E se ne trovarono anche fra i combattenti, già ce n’erano stati fra i garibaldini e fra i difensori della Repubblica romana del 1849, altri ci furono fra le truppe che sbarcarono in Libia nel 1911, altri ancora nelle trincee della Grande Guerra.
Dopo il 20 settembre 1870, gli ebrei romani stabilirono la loro residenza anche in altre zone della città, pur mantenendo un attaccamento particolare per la vecchia area del ghetto, all’interno del quale, o nelle sue immediate vicinanze, sono tuttora situati i principali punti di riferimento della comunità ebraica romana.