Storia e significato dei tatuaggi
I Māori sono una popolazione di stirpe polinesiana, insediatasi in Nuova Zelanda intorno al 900 d.C.
Il nome significa “normale”, in contrasto agli “invasori” inglesi definiti da questo popolo come pakeha.
Il tatuaggio, nella cultura Māori, rivestiva un significato molto importante: era utilizzato, infatti, come strumento di comunicazione sociale.
La società Māori era molto stratificata ed il tatuaggio indicava con precisione la casta di appartenenza di ciascuno. Nel tatuaggio veniva identificata anche l’origine materna e paterna, il mestiere o anche il raggiungimento di un rango superiore rispetto a quello di nascita.
I guerrieri usavano tatuarsi con orgoglio, per raccontare le loro gesta e la loro storia. Inoltre, con il tatuaggio evidenziavano la muscolatura per apparire più forti di fronte al nemico. Il tatuaggio aveva anche una funzione estetica, serviva cioè come forma di abbellimento della persona, un po’ come il trucco usato ai giorni nostri.
Una donna che non avesse segni tatuati attorno alle labbra, infatti, non veniva considerata attraente.
Il tatuaggio più rappresentativo di questa cultura era il “moko”, che veniva usato come segno di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Nel “moko” il viso era coperto di complessi motivi dalla radice dei capelli al mento e da un orecchio all’altro. Nel tatuaggio chiamato “rape”, invece, venivano tatuati anche l’addome e le gambe dalle cosce fino alle ginocchia. Il “kirituhi” è invece la rappresentazione più decorativa anche se intrisa di significati legati alla felce “koru” come simbolo di rinascita spirituale.
Il tatuaggio veniva eseguito solo da santoni o da persone ufficialmente riconosciute come “Tohunga ta Moko”, cioè tatuatore: studiavano la struttura facciale del futuro tatuato, ed individuavano un disegno. Spettava poi agli anziani del clan decidere se il simbolo proposto rispettava la personalità dell’individuo.
Le due principali tecniche utilizzate per i tatuaggi erano il “puhoro” e il “moko whakairo”. Il primo consisteva nel pungere la pelle con uno strumento acuminato e nell’inserire nelle punture un pigmento che lasciava la traccia del disegno sotto pelle. Il “moko whakairo”, invece, veniva eseguito con scalpelli ed altri strumenti taglienti che “scolpivano” la pelle: le ferite venivano successivamente riempite di colore e il disegno, una volta guarita la pelle, era reso ancora più evidente dal rilievo delle cicatrici.
Una volta definiti i tatuaggi entrava in gioco la danza per vivere riti, credenze, fatti.
La lingua dei Māori
La loro lingua originale è detta Māori. Il Māori viene insegnato, unitamente all’inglese, nella scuola dell’obbligo. I Māori sono generalmente alti, con la pelle di color bruno chiaro. Si ritiene che oggi la popolazione si aggiri intorno alle 700 000 unità.
Come si è detto, il moko è il tradizionale tatuaggio con cui i Māori dipingono i loro volti. I guerrieri utilizzano il moko per raccontare la loro vita: ogni segno indica un diverso avvenimento della propria storia personale. Le donne riportano il tradizionale segno sul mento ad indicare che sono legate ad un guerriero Māori.
Tra i tatuaggi, il kirituhi è la rappresentazione più decorativa (anche se comunque intrisa di significati legati alla felce “koru” come simbolo di nascita, rinascita spirituale e rigenerazione); a differenza del tatuaggio moko, tutti possono usare questa tipologia di disegni, senza offendere la cultura. Avevano, inoltre, la funzione di incutere paura.
I Māori furono storicamente in forte opposizione rispetto ai coloni inglesi che, non riuscendo a sottometterli, stipularono con loro un trattato (il trattato di Waitangi). Anche dopo la nascita della colonia, e poi dello Stato indipendente della Nuova Zelanda, i Māori non hanno mai cercato l’integrazione con le altre etnie del Paese, pur essendo da tempo convertiti al Cristianesimo. Il governo neozelandese ha negli ultimi anni dato inizio a un programma di integrazione razziale per facilitare l’integrazione dei Māori nella società, al tempo stesso proteggendone il bagaglio culturale. I rapporti fra la comunità Māori e i neozelandesi di origine europea sono comunque meno conflittuali di quanto siano in Australia fra aborigeni ed inglesi. Durante la battaglia di Verdun, ad Arras, i britannici reclutarono i māori (abili scavatori) per realizzare migliaia di tunnel a ridosso delle linee tedesche, al fine di sorprendere e attaccare di sorpresa il nemico.
Nel 1858 i Māori costituirono il Kingitanga, nella regione di Waikato (North Island), ed elessero un re nell’ambito della tribù Wherowhero e nella persona di Pōtatau, onde restare uniti nel sistema coloniale inglese. Il sovrano (elettivo, ma quello in carica può indicare il successore) gode tuttora di molta autorevolezza e prestigio pur non avendo un ruolo formale e costituzionale.
Nel 1997 l’esecutivo della Nuova Zelanda si mostrò rammaricato circa i danni morali e materiali subiti dall’etnia durante la colonizzazione: la regina Elisabetta II, capo dello Stato, si scusò formalmente incontrando la sovrana Māori Tea Ata (1931-2006), autentica rappresentante e ambasciatrice della cultura e delle vicende del popolo. La famiglia reale risiede nel palazzo di Turongo (Waitangi) e il luogo di sepoltura si trova sul monte Taupiri.
I Māori si sono distinti nel mondo sportivo soprattutto grazie alla loro massiccia presenza nella famosissima squadra nazionale neozelandese di rugby degli All Blacks i quali, all’inizio della partita, sono soliti eseguire l’haka, un antico canto mimato che, originariamente nato come un’invocazione al dio sole, si è evoluto nel tempo in un rituale più complesso per manifestazioni di gioia, o di dolore, o di quell’aggressività intimidatoria che, espressa ad inizio partita dagli All Blacks, viene spesso considerata esclusivamente come danza di Blacks (pur essendo di origini samoane), che ne diede una indimenticabile interpretazione. I Māori, e la loro cultura, sono stati spesso ispirazione per opere cinematografiche.